Elena e Penelope: modelli stereotipati o personaggi complessi?
Intervista a Giorgio Ieranò, Università degli Studi di Trento
17 febbraio 2022
Tre studenti al terzo anno del Liceo Classico Massimo D’Azeglio di Torino, Greta Canino, Gabriele Pizzichetta e Francesca Sheldrake intervistano Giorgio Ieranò, professore di Letteratura greca all’Università di Trento, all’interno delle attività di PCTO che il liceo svolge con il Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS. Il professor Ieranò terrà l’incontro “ELENA E PENELOPE: DUE MODELLI FEMMINILI TRA MITO E POESIA“, il 23 febbraio alle ore 18.00, su piattaforma zoom.
(Francesca Sheldrake): Da dove nasce l’idea di analizzare due personaggi femminili appartenenti a un poema in cui si parla molto più di personaggi maschili?
Siamo abituati a guardare ai poemi omerici come poemi che celebrano l’eroismo e le virtù maschili: il coraggio, la capacità di restare al proprio posto in battaglia, la ricerca della gloria, di quello che i greci chiamavano kléos, cioè l’onore conquistato in battaglia che resta nella memoria dei posteri. Tuttavia, più leggo i poemi omerici, più mi rendo conto che in realtà la presenza delle donne è assolutamente centrale. Nell’Odissea questo concetto è abbastanza assodato: anche gli antichi si rendevano conto che fosse un poema più femminile rispetto all’Iliade, con una maggiore presenza di donne. Basti pensare alle diverse figure di ninfe, di dee e di donne che Ulisse incontra lungo il suo viaggio.
Innanzitutto possiamo citare Atena, la sua dea protettrice con la quale ha un dialogo estremamente complesso, a volte persino scherzoso. Lo prende in giro per le sue furbizie, sottolineando che cerca sempre di ingannare il prossimo. Si tratta quindi di un rapporto in cui Atena, oltre a essere la sua protettrice, ha anche un ruolo attivo. Pensate a Calipso, di cui vediamo sentimenti e passioni: si chiede perché gli dèi non accettino che una divinità femminile viva il suo amore ed è evidente la sua ribellione alla loro decisione di far partire Ulisse. Non si tratta solo di una ninfa senza passioni né sentimenti, ma entriamo, per così dire, nel suo mondo interiore. Circe è un personaggio molto complesso, è una maga cattiva che però diventerà un’amica, un’aiutante e una consigliera, oltre che un’amante di Ulisse. Nausicaa è una figura straordinariamente ricca di sfumature, vediamo i suoi sentimenti e i suoi pensieri. Per Penelope è lo stesso, non vive solo in funzione di Ulisse, non esiste solo in quanto moglie e oggetto di contesa. Anche lei ha i suoi pensieri, i suoi desideri e le sue incertezze, è astuta e mette alla prova Ulisse quando arriva a Itaca. Si può ricordare un bellissimo episodio nel quale mentre si fa bella per scendere tra i Proci, ride senza un’apparente ragione.
Qualcuno potrebbe dire che nell’Iliade sia completamente diverso: narra infatti di grandi battaglie ed eroi furibondi che combattono. È vero che le donne quantitativamente compaiono meno in questo poema, ma qualitativamente sono molto importanti. C’è Andromaca, la moglie di Ettore e il bellissimo episodio del suo incontro con il marito, ed Ecuba, la madre di quest’ultimo. Elena è un personaggio ricco e contraddittorio, che addirittura nel terzo canto usurpa quasi il ruolo del narratore: è lei a raccontare a Priamo chi sono gli eroi che combattono sotto le mura. Infine troviamo un personaggio fondamentale di cui spesso ci dimentichiamo: Teti, la madre di Achille. L’Iliade non è solo il dramma degli eroi maschi sul campo di battaglia, è anche il dramma del dolore di una madre come Teti, che sa che il figlio è condannato a morire e lo vuole preservare più che può. Si tratta di un personaggio centrale sia in terra sia sull’Olimpo, se si pensa ad esempio al suo dialogo con Efesto, a cui si rivolge per fargli forgiare le nuove armi di Achille.
Inviterei quindi a rovesciare la prospettiva e a guardare quelli che per tutta la tradizione occidentale sono stati poemi dell’eroismo guerriero o dell’astuzia dell’eroe che prende la sua vendetta anche come poemi che possono essere visti e letti al femminile.
(Gabriele Pizzichetta) L’amore crea distruzione? Se si potesse porre questo quesito a Elena e Penelope che cosa pensa che risponderebbero?
Penso che il concetto che l’amore, l’Eros e la forza del desiderio creino distruzione sia un’idea che accompagna la cultura greca per tutta la sua storia, dalle origini fino ai tempi più recenti della tarda antichità. Questo dipende dalla particolare concezione che i Greci avevano di Eros, come una forza esterna, una divinità tirannica, una potenza soprannaturale che sottomette gli uomini alla sua volontà. Infatti non è l’individuo a innamorarsi, ma è Amore che decide di chi ci si debba innamorare: di conseguenza, si è in balia della potenza di Eros. Spesso questo, che non a caso è raffigurato come un bambino, dimostra di essere capriccioso e, come tutti gli dèi dell’Olimpo, non sempre si cura delle sofferenze degli uomini: non deve quindi stupire che faccia nascere amori non corrisposti. Dunque, Eros come malattia, tempesta, vento che squassa, tutte immagini che derivano dalla lirica greca, esprime il suo potere tirannico e la sua capacità di creare distruzione.
Se ponessimo la domanda a loro forse ci risponderebbero come in parte hanno risposto già i poeti antichi. Pensiamo a Penelope, una donna desiderata quanto Elena, molto corteggiata dai Proci e sicuramente molto bella, nonostante si veda sempre in una dimensione un po’ casalinga: lei stessa nell’Odissea cita il caso di Elena e afferma di essere sicura che non avrebbe voluto scappare con Paride e creare un disastro mondiale, come la guerra di Troia. È stato un dio che l’ha spinta a compiere quell’atto indegno, ossia Ate, una strana forza che produce l’accecamento nella mente degli uomini e li porta alla distruzione.
Anche Elena ha dato una risposta, non solo nei poemi omerici, ma anche in una tragedia come Le Troiane di Euripide, in cui fa un lungo discorso per spiegare che non ha avuto la colpa delle sue azioni, ma che c’è stato un disegno degli dèi che mirava alla distruzione degli uomini. Si chiede inoltre perché mai avrebbe dovuto abbandonare la sua casa e lo sposo, un grande re della Grecia, per andarsene tra i barbari e ritiene che sarebbe stata una pazza se lo avesse deciso di sua volontà. Al contrario, sottolinea che è stata Afrodite a costringerla a compiere la fuga, proprio tramite la potenza invincibile di Eros e del desiderio: se si vuole punire qualcuno per il disastro causato dal suo gesto, bisogna far ricadere l’intera colpa su Afrodite.
(Greta Canino) Come erano visti nel mondo classico i modelli di femminilità che Elena e Penelope interpretavano e come è cambiata, oggi, la loro visione?
Credo che Elena e Penelope, in origine, nell’Iliade e nell’Odissea, non fossero rappresentate come modelli, bensì come personaggi complessi, pieni di sfumature, contraddittori: non semplicemente la seduttrice, nel caso di Elena, non semplicemente la moglie fedele, nel caso di Penelope.
Con il tempo questi personaggi, divenuti celeberrimi, sono stati ridotti dalla tradizione poetica e letteraria agli stereotipi che ben conosciamo: Elena a quello della sgualdrina, donna seducente e troppo bella per non provocare danni, mentre Penelope a quello della moglie in paziente attesa al focolare e col pensiero rivolto solo al marito. È un processo che avviene gradualmente, e che si riscontra anche per altri personaggi della letteratura di tutte le epoche, tra i quali, ad esempio, Don Chisciotte. Oggi il nome “Don Chisciotte” è usato per antonomasia per indicare un uomo idealista e ingenuo, alla ricerca di sogni irrealizzabili. Anche i nomi di Elena e Penelope vengono usati per antonomasia: il poeta latino Marziale, in un suo epigramma, si esprime così nel parlare di una matrona che tradisce il marito alle terme di Baia: “è arrivata che era una Penelope e, dopo la vacanza a Baia, se ne è andata che era un’Elena”.
Questi modelli vengono interiorizzati, anche nel mondo della vita comune: numerose sono le iscrizioni funebri in cui una donna fedele, perbene, viene lodata e paragonata a Penelope. Naturalmente, dietro a questa concezione della donna, c’è la tradizione della società greca: essa prevede che viva nella dimensione domestica, che si occupi dell’oikos, cioè della casa, e che sia totalmente fedele al marito, il quale, invece, può concedersi distrazioni con concubine, etere e prostitute. La Grecia era particolarmente rigida su questa tradizione, mentre in altre regioni del mediterraneo, come l’Egitto o l’Etruria, le donne avevano maggiore libertà. Nella stessa Grecia vi erano differenze di tal genere: ad Atene, per esempio, la subordinazione delle donne era maggiore rispetto a città come Sparta.
Nelle epoche successive, lo stereotipo che vede Elena traditrice e Penelope fedele è stato mantenuto in alcuni casi, variato in altri. Per quanto riguarda l’epoca odierna, credo che ci sia la tendenza a ritornare alla visione del mondo antico: ci sono tantissime riscritture del mito che assumono il punto di vista di Penelope, Elena o altri personaggi, come Circe – si pensi, ad esempio, al romanzo di Madeline Miller. Questi scrittori sostengono di innovare la tradizione, di ribaltare la prospettiva della letteratura antica; in realtà, stanno tornando alla prospettiva di Omero, all’origine, in cui, prima di diventare stereotipi, Elena e Penelope erano figure a tutto tondo, con un loro mondo, le loro emozioni, con una loro autorevolezza e con tanto da esprimere, anche di fronte a interlocutori maschili.