Cultura classica e cultura contemporanea: confronto o scontro?
Intervista a Maurizio Bettini e Gigi Spina
Tre studentesse al terzo anno del Liceo Classico Massimo D’Azeglio di Torino, Sofia Funelli, Emilie Hotot e Marta Sommo, coordinate da Adriana Scatolone, intervistano Maurizio Bettini e Luigi Spina, all’interno delle attività di PCTO che il liceo svolge con il Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS. I due docenti terranno l’incontro DECOLONIZZARE I CLASSICI – MA DA CHI?, il 6 aprile alle ore 18.00.
(Marta Sommo e Emilie Hotot) Eliminare lo studio dei classici, come è stato fatto in alcune università anglosassoni, può davvero servire a non commettere in futuro gli stessi errori?
(Maurizio Bettini) Penso sia assolutamente il contrario: bisogna continuare a studiare i classici e la storia, per capire gli eventuali esiti negativi che questa cultura ha prodotto. È necessario però fare una distinzione: un conto è cancellare la cultura classica, non studiandola più, cosa che determina un’imposizione dell’ignoranza; un altro è “edulcorare” i classici – come è stato fatto nella maggior parte dell’educazione scolastica, soprattutto in passato -, considerandoli solo come una palestra di civiltà, intelligenza e umanità. La cultura classica va studiata nella sua interezza: da un lato ci sono grandi pensatori, come Platone e Aristotele, di cui non si può fare a meno; al contempo, c’è anche una società che si poteva permettere la libertà e ricchezza di pensiero perché fondata sulla schiavitù, una società in cui le donne erano discriminate e, passando a Roma, una civiltà che praticava la violenza nel circo come forma di divertimento. La cultura va studiata nel suo insieme: non esiste soltanto l’esortazione di Tibullo alla pace, ma anche Virgilio che nell’Eneide cantala gloria imperiale e bellica dei romani. Solo così si continua a studiare e a mantenere una cultura nostra e autentica, una cultura intesa come consapevolezza.
Per fare un confronto con l’attualità, il desiderio di “ripulire” i classici o di cancellarli assomiglia a quei principi di carattere “evangelico” che hanno spinto George Bush di esportare Peace and Democracy in paesi di un’altra mentalità, basandosi su una verità che riteneva in sé assoluta. Mi sembra che ci sia lo stesso atteggiamento di “colonizzazione” dei classici, proprio perché vi si vuole importare la nostra cultura, o cancellando o riscrivendo. Così però si fa esattamente l’opposto di quello che si viene dichiarando, cioè il fatto di voler “decolonizzare” i classici. Questo mi pare molto coerente con un modo tipicamente anglosassone di pensare, che ha poche radici nel presente e nel passato e tante, invece, di carattere assoluto, come nella Bibbia, nella democrazia o in concetti comunque ritenuti universali.
Un’altra osservazione nasce dalla recente lettura di Orsi danzanti, scritto dal giornalista polacco Szablowski, che narra di un’intervista fatta a vari personaggi Rom che, per una tradizione centenaria, hanno vissuto in Bulgaria facendo danzare gli orsi e sottoponendoli a pratiche molto crudeli, come l’estirpazione dei denti, l’educazione a stare sulle zampe posteriori, perché quelle anteriori venivano posate su ferri roventi. Quando una associazione austriaca per la protezione degli animali è intervenuta in Bulgaria e ha sequestrato gli orsi ai proprietari, per portarli in un luogo protetto, è avvenuto da un lato un crollo economico di chi li faceva danzare, in quanto non potevano più mantenersi; ma anche grandi difficoltà per gli orsi, che erano abituati a vivere in cattività e non si raccapezzavano una volta reintrodotti in un contesto naturale. Si tratta di un quadro molto realistico e crudele che fa capire cosa vuol dire intervenire su una cultura con modelli sicuramente giusti, umanistici e contemporanei, che però possono provocare nella società anche conseguenze negative.
In conclusione, con le culture è necessario procedere con moderazione: in primo luogo con quelle viventi, che in passato sono state distrutte dai colonizzatori e anche dai missionari; poi però anche con quelle del passato, perché, affrontandole con uno spirito di “adattamento al moderno”, si finisce non solo per far loro violenza, ma per fraintenderle, ed eliminarne anche tutti glia spetti più positivi ed interessanti.
(Sofia Funelli) Nell’Italia del dopoguerra, nonostante molti tratti dell’ideologia fascista richiamassero autori e caratteri della cultura romana antica, non si è pensato di abolire lo studio dei classici: come mai, all’indomani dell’invasione russa in Ucraina, abbiamo vissuto molti episodi di censura relativi a questa cultura? Cosa è cambiato nella nostra società?
(Luigi Spina) Potrei cavarmela con un gioco di parole su una formula felice adottata qualche anno fa: ci sono periodi di fortuna e periodi di sfortuna dell’antico. Vorrei dire che la fortuna, cioè la permanenza, la sopravvivenza, la trasmissione – in una parola quella che oggi si chiama la “ricezione” – che le culture antiche hanno avuto, hanno e, penso, avranno in forme varie, è soggetta soprattutto al giudizio delle culture che le ricevono. Ci sono stati dei periodi di culture e ideologie abbastanza totalizzanti che hanno piegato i testi classici alle loro logiche, nascondendo spesso i caratteri specifici, anche contraddittori, dell’antichità e trasformandoli frequentemente in modelli eterni, univoci e quasi sacri. Mentre ci sono anche periodi, forse come quello attuale, in cui, in generale, sembra prevalere una maggiore dialettica, cioè un’idea della complessità che consentirebbe varie letture e quindi, per così dire, vari tipi di fortune.
Pensando al nostro passato, da metà Novecento si è trattato probabilmente di scrostare dallo studio dei testi classici l’impronta fascista: la sfortuna, in questo caso, è toccata più che ai testi, agli studiosi che avevano praticato quei metodi, che non vengono quasi più ricordati, se non per essere criticati nelle storie degli studi classici. Mentre in tempi recenti, anche la stessa impostazione che si potrebbe etichettare come “marxismo e mondo antico” – senza fare un parallelismo fra i totalitarismi – ha mostrato i suoi limiti.
Quanto alle recentissime prese di posizione o decisioni di istituzioni universitarie che mettono in discussione momenti fondamentali della cultura russa, – per fortuna ancora pochi esempi –, ma anche ai tentativi in tutta Europa di bloccare singole letture, presentazioni di libri ecc., secondo me si tratta di una sorta di riflesso ideologico che ha risentito delle eredità di cui parlavo rispetto agli studi classici e che non riesce ancora a distinguere la polemica politica dal patrimonio storico (su cui è necessario riflettere), che è molto più condiviso e comune alla cultura mondiale di quanto non siano invece le iniziative belliche, sciagurate, a opera di singoli regimi. Per questo, con molta pazienza ed evitando i toni urlanti, bisognerebbe riportare nei giusti limiti quelle che sono necessarie scelte politiche di boicottaggio, di sanzioni. Operare anche in questo caso delle distinzioni, lasciando aperti – vorrei usare questa espressione – dei “corridoi culturali”, che dovrebbero sempre spingere – proprio perché opera di riflessione critica e di confronto – alla convivenza e alla reciproca comprensione fra le culture. Per concludere, il messaggio che si dovrebbe lanciare rispetto agli ultimi episodi è questo: evitiamo l’isteria del boicottaggio culturale, se non delle istituzioni che abbiano dei forti riflessi politici, e manteniamo invece aperto questo confronto culturale anche con la storia delle nostre culture.